Insegnante e scrittrice, creativa e autoironica: parla con QdC Giovanna Nastasi
Invece, a me piaceva comunque la comunicazione e la possibilità di fare un lavoro che ti mettesse sempre alle prova e sempre a contatto con i mutamenti della vita. Offrire gli strumenti culturali che ho avuto io non è cosa da poco. Non parlerei di vocazione, ma di un cammino che si è delineato sempre più chiaro nel tempo.
Che non posso fare no. Insegnare ti concede ancora qualche margine di libertà. Più che altro, anno dopo anno, noto un generale disinteresse nei confronti dello studio. Ho come l’impressione che gli studenti vadano a scuola perché costretti, perché si fa, perché serve il pezzo di carta (definizione orrenda) e non con la consapevolezza di costruire, con i libri, gli arnesi del mestiere di vivere, di capire se stessi e il mondo. Trasmettere questo concetto è la mia preoccupazione principale e la base della mia didattica.
Io, ovviamente, non demonizzo la tecnologia né rimpiango i tempi passati, come fa qualcuno. A noi spetta il tempo che viviamo e lo dobbiamo interpretare. Il telefono è, non solo per i ragazzi, una sorta di protesi, una parte del corpo quasi fosse un arto. La compulsione ad essere sempre connessi va a discapito della concentrazione, della possibilità di stare con se stessi, di riflettere, di guardarsi negli occhi, di godere di una sana privacy. Per questa ragione le mie lezioni sono basate sulla parola e sulla relazione, anche a discapito delle mie corde vocali. Uso gli strumenti multimediali con parsimonia, proprio perché gli studenti di fatto sono sempre connessi attraverso computer o smartphone, pertanto a scuola cerco di fargli staccare un pochino la spina. Ma non è sempre facile.
Ecco. Scrivere è proprio la mia vocazione, nel senso di ascoltare il mio daimon. Scrivere è la mia destinazione sin da bambina. Iniziai con il mio diario e non ho più smesso. Scrivere è la mia dimensione più profonda, quando scrivo comprendo, oriento la mia vita, sciolgo i nodi e, come un attore, vivo tante vite. Un quaderno e una penna non mancano mai nella mia borsa. Ogni giorno cerco sempre di fermare un pensiero o annotare un dettaglio. Poi magari non ne faccio niente, però per me è importante. Un giorno solo questo resterà di me: quello che ho fermato con l’inchiostro. Da questo punto di vista sono un’artigiana. La prima stesura avviene con la penna.
Che suggerimento ti senti di dare agli aspiranti scrittori? E agli aspiranti docenti?
Per i miei colleghi, che dire? Tavolta tanto lavoro non riconosciuto, unito a una scarsa considerazione sociale, come dicevo prima. Il pericolo è la noia, di essere ripetitivi, laddove invece serve creatività e flessibilità. Insegnare significa proprio segnare dentro. Il lavoro fatto con passione ripaga sempre. Il sapere che si trasmette ha nel suo etimo l’idea di sapore. Nell’arte come nel lavoro, io per prima non vorrei mai offrire cibi insipidi. Sarebbe un disastro!